Alberto Vitale - Disperazione |
Stamattina avevo messo su un post sul mio umore ballerino, ma dopo un SMS di mia sorella ha ridimensionato di colpo quelli che negli ultimi giorni mi sembravano iceberg emotivi a semplici scogli.
Uno dei suoi ragazzi si è suicidato, oggi andrà al suo funerale.
Dico "uno dei suoi ragazzi" perchè lei li chiama così, anche quando hanno 60 anni e potrebbero essere nonni (e in alcuni casi lo sono).
Mia sorella fa l'educatrice, ha iniziato anni fa con alcuni progetti tesi a rendere autonome persone down e ora segue persone disagiate aiutandole a "ripartire" con dei lavori per enti e strutture. I "ragazzi" sono tanti, i progetti sempre troppo brevi e i fondi sono spesso ridicoli. Ma, nonostante tutto, queste iniziative sono spesso un'occasione per farli sentire meno soli (anche nel disagio), rappresentano una possibilità di socializzazione o di lavoro per chi ha sempre incontrato ostacoli in uno o in entrambi gli ambiti.
Non le ho chiesto come si sente, lo so. Mi sono limitata a dirle che a volte le persone non vogliono essere salvate. Non c'è niente che possiamo fare, noi non abbiamo gli strumenti, loro non hanno la volontà di vivere, o forse non ne hanno la forza.
In questo caso c'era un disagio, ma in molti altri non è così evidente. Dopo, nei sopravvissuti, resta lo smarrimento, il bisogno di rimettere a posto le caselle scompigliate dal gesto, capire e "giustificare" un gesto così estremo. Individuare troppo tardi, i segnali di quello che sarebbe avvenuto. Placare un senso di fallimento per la nostra incapacità di decodificarli per impedirlo. Il suicidio ti insinua dentro un tarlo, che rischia di trascinarti nello stesso buco nero. La necessità di scandagliare la profondità di quella disperazione che fa vedere la morte come unica via di uscita.
Nei posti in cui sono cresciuta conosciamo bene la dinamica di questo tarlo, il tasso di suicidi è altissimo, contagiosissimo. Non so se esistano statistiche, ma penso sia la prima causa di morte giovanile dopo le morti per leucemia e tumori. Tanto che un noto scrittore ha reso il male di vivere uno dei personaggi principali dei suoi romanzi: "la voce".
Nel quartiere in cui viveva mia nonna paterna, uno dei più "antichi" non c'era casa in cui non si fosse pianta una morte prematura. In alcuni casi era tanta la voglia di farla finita che anche i sistemi "arrangiati" erano un metro della disperazione di chi voleva solo il silenzio. Il padre di un mio compagno classe, eravamo alle medie, si sparò un colpo di fucile in pancia, morì dopo una lunghissima agonia in ospedale. La madre di un'altra mia coetanea, dopo vari tentativi bloccati dai familiari, venne ritrovata dentro il congelatore a pozzo.
Dopo per loro, il silenzio. Per chi resta fin troppe voci e domande senza risposta.
3 commenti:
Oggi non sai quanto ti capisco.
:-(
Dolorose pagine di vita. E penso anche a tanti - sono sempre troppi - da me conosciuti che hanno fatto quel fatale passo ancora giovani.
qualche mese fa si è suicidato il marito di una cugina, erano separati e lui non accettava che lei non lo amasse più. Ha provato 4 o 5 volte prima di riuscirci. In questi casi cosa puoi dire o fare?
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