ancora miti, riti e liturgie di abbordaggio metropolitano

Cerca nel blog

martedì 19 ottobre 2010

Stigmate

Emil Schildt fonte foto
Lo scorso luglio durante una visita specialistica, una dottoressa che non mi aveva mai vista prima mi ha fatto una serie di domande sulla salute dei miei genitori e su eventuali malattie familiari.
Mi lanciai li per li con la solita tiritera sulla longevità del ramo paterno, con l'esempio delle prozie vissute a lungo, sane e lucide, mentre dalla parte di mia madre la storia di famiglia era costellata di morti precoci e di tumori.
La dottoressa, mi augurò di aver preso da mio padre. Nessuna delle due immaginava che gli restassero meno di due mesi di vita.
Eppure nonostante la sensatezza dell'augurio del medico tra me e me speravo di aver preso dal ramo materno. Un ramo costellato di fiori all'apparenza fragili, ma resistenti alle intemperie della vita. Ai colpi di vento come a quelli di sole. Donne temprate da abbandoni e scontri feroci col proprio sangue, fortificate da un'empatia che rende stigmate il dolore dei propri cari. 
Le donne della mia famiglia sono scudi. Gli uomini sono buchi neri.
Donne meduse, all'apparenza trasparenti, ma capaci di scatenare reazioni fortissime, temprate da anni di solitudine e dalla vicinanza di uomini che risucchiano e nullificano quello che gli sta intorno. Sono edere di filo spinato, capaci di godere di poco, di succhiare e godersi la linfa della vita, concentrate sulla fonte della propria felicità, figli, compagni o lavoro che siano, quasi indifferenti verso tutto il resto. Pericolose per l'oggetto del proprio amore, se non è in grado di sostenere quella simbiosi. Donne flessibili come giunchi, piegate dalle sofferenze, ma pronte a risollevarsi, energiche ed elastiche dopo la bufera.
Ora vedo quelle meduse disorientate dalla mareggiata. Un ramo stanco sotto la gelata di un inverno anticipato, improvviso e maledetto. L'edera che appassisce senza la pianta da cui trarre nutrimento e vita, cui donare gioia e calore.
Mentre vedo spuntare le stigmate sui volti e i corpi delle donne della mia famiglia mi chiedo se questa forza ed empatia siano davvero un dono e non una maledizione. 

7 commenti:

Unknown ha detto...

Sicuramente un dono

Alberto ha detto...

Come possiamo saperlo noi? E poi quello che oggi vedi così domani potrai vederlo in un'altra maniera.

danmatt65 ha detto...

Io credo che quello che c'è di bello nelle donna della tua famiglia tu l'abbia preso.
Certo, non ti conosco di persona, ma da quello che scrivi, dal poco (giustamente, eh?) che mi hai detto di te, ti ritrovo, in questo ritratto.
Io sono Uomo, ahimè, ma cerco di difendermi...
:-D

enzo ha detto...

Bello leggerti.
Ciao

Trippi ha detto...

Chica: non so a volte penso che sarebbe meglio lasciarsi scivolare tutto addosso.

Alberto: verissime entrambe le tue affermazioni. :-)

Dan: questa che per fortuna sta finendo è stata un'annata orribile per le donne della mia famiglia, io sono stata colpita duramente, ma rispetto ad altre solo marginalmente. Qui parlo di loro.

Enzo: grazie, in questo caso la scrittura è terapia.

Crimilda ha detto...

Ci devo pensare pure io

Trippi ha detto...

Ciao Cri: so che anche per te non è stato un bel periodo. Per quel che vale mi dispiace e si, penso ne valga la pena.

Cerca nel blog

segnala su:

socialnetworkizzaci

Bookmark and Share
Blog Widget by LinkWithin