Non dire notte di Amos Oz, è il racconto di una crisi sentimentale sullo scenario di una cittadina israeliana a ridosso del deserto del Negev. Crisi familiare che è anche scusa e pretesto per offrire tanti piccoli spaccati di vite e crisi altrui. Sono i racconti delle stranezze, i drammi e le idiosincrasie degli abitanti e delle persone di passaggio a Tel Kedar l'anima e il motore del romanzo, la luce che illumina l'esistenza della coppia di protagonisti, persi nella confusione e nell'inconcludenza della quotidianità, annebbiati, ottusi e per questo così umani.
Theo ha 60 anni, Noa 45. Lui ingegnere urbanista con una lunga carriera dedicata al servizio dello stato alle spalle, ora un'attività in proprio che segue saltuariamente. Lei insegna a ragazzi dai nomi troppo simili che confonde immancabilmente, nomi, facce e storie sovrapponibili che non restano impressi. Dopo la morte per droga (o suididio) di uno di essi il padre del ragazzo, Ivrahim Orvieto, le chiede di occuparsi di un'iniziativa in memoria di lui, un centro di riabilitazione. La richiesta giunge inaspettata, perchè Noa ricorda il ragazzo solo per la sua riservatezza e per qualche rapido scambio di battute. Nessun ricordo sull'essere "la preferita" dal ragazzo, per avergli donato una matita come raccontatole da Ivrahim.
Intorno alla realizzazione del centro Noa riversa passione e entusiasmo come un fiume in piena, senza incalanare questa energia in alcun idea o progetto concreto suscitando lo scetticismo di Theo che la vede vagare come una Farfalla che sbatte da una parte all'altra della stanza mentre cerca una via di fuga, senza vedere la finestra aperta.
Questa energia cinetica sprecata, insieme con il senso di abbandono e tradimento pervade tutto il libro e le vite che sfiorano e segnano quelle dei protagonisti, spesso raccontate dalla duplice prospettiva del dialogo solitario delle due voci narranti di Theo e Noa e da una terza che li scruta entrambi, radiografando le loro piccolezze e immensità. Padri rabbiosi e traditori, zie integraliste e egoiste, famiglie disgregate della follia collettiva e del singolo, gigolo da strapazzo e donne bambini, granitiche, sole. Su tutto poggia l'abbandono, come la polvere che penetra nelle case e nelle vite dei personaggi. Nel bellissimo racconto dell'adozione dello scimpanze in Africa, allevato dalla famiglia Orvieto considerato figlio e fratello finchè la sua stessa presenza non diventa ingestibile, il cucciolo ormai adulto ingombrante e persino pericoloso diventa il simbolo di questa parabola costante di amore e abbandono, passione e insensatezza, di tradimento e futilità.
Noa e Theo girano a vuoto, alla ricerca di un qualcosa che renda la vita degna di essere vissuta, come la vorticosa sabbia del deserto che penetra nella cittadina, rendendo a volte impossibile vedere al di la del proprio naso, ma nonostante i fiacchi mulinelli sentimentali finiscono per ritrovarsi ancore l'uno per l'altra. La loro storia è l'apologia del compromesso, per citare l'autore, come incontro a metà strada tra due volontà. L'unica filosofia di vita possibile in ambito familiare e politico. Filosofia di vita perchè a sua tutela.
Un bellissimo romanzo e una storia di vita umanissima incentrata sull'amore e il senso di vuoto, di perdita.
Da leggere tutto d'un fiato.
5 commenti:
Grazie per il prezioso consiglio ;-)
Ringrazio anch'io.
Credo di aver letto qualcosa di Oz, ma non ricordo quale libro era...
Il che mi fa supporre che non ne rimasi entusiasta, ma sono vecchio e mi sbaglio spesso.
:-)
Daniele (Macca)
Chit: penso che non condividere un buon libro sia un delitto ;-)
Walter: è il mio primo Amos Oz, in pausa pranzo passo in libreria e saccheggio il resto della bibliografia!
scusa Dan se ti ho chiamato Walter sarà per il troppo lavoro di questi giorni che mi frigge il cervello... :-)
Letto parecchie recensioni di Oz, ma di lui niente. Che sia venuta la volta buona? Ciao,
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