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Lui, come uun bimbo ignorato dopo essere stato messo in castigo, piange, si straccia le vesti e si dispera per la/nella sua solitudine sul Giornale di famiglia del suo Mentore/Benefattore/Primo Ministro.Egregio direttore, constato che dalla sinistra alla destra di Marcello Veneziani la soddisfazione per le mie dimissioni è unanime. Stiano sereni, presto li accontenterò. Mi permetta, però, di rispondere brevemente a Marcello Veneziani e poi spiegare il perché delle mie dimissioni. All’editorialista del suo quotidiano vorrei dire che non pretendo certo di avere il consenso di tutti, dunque ancor meno il suo che dichiara esplicitamente di non avermi mai apprezzato come ministro né come politico. E questo sinceramente potrebbe essere un complimento per me.La decisione di dimettermi è innanzitutto una piena e consapevole scelta di vita maturata in secondo luogo dalle difficoltà incontrate. Ho accettato l’incarico di ministro della Cultura perché convinto che su questo terreno si giocava una partita importante se non decisiva dell’identità del centrodestra e della sua capacità di dialogare con tutti gli uomini di cultura. In questo ruolo posso avere fatto degli errori, ma ho realizzato delle riforme importanti e ho imposto una linea alternativa, in senso compiutamente liberale e riformatore, alla politica culturale della sinistra. Purtroppo in questo sforzo non sono stato sostenuto con la necessaria consapevolezza dalla stessa maggioranza di governo e da quei colleghi che avrebbero potuto imprimere insieme a me una svolta nel modo di concepire il rapporto fra stato e cultura in Italia.E questo mancato sostegno è avvenuto oltretutto nel momento in cui mi sono trovato più in difficoltà, a seguito del crollo di un muro in cemento a Pompei e più colpito dalle iniziative della sinistra, fino alla presentazione di una mozione di sfiducia individuale nei miei confronti, pur non avendo io mai scaricato su altri la responsabilità della mancanza di fondi, che pure è stata l’accusa più frequente rivoltami dalla sinistra. Le vicende del decreto Milleproroghe hanno ulteriormente evidenziato la mia incapacità d mantenere fede agli impegni che avevo preso, e nel richiedere almeno un minimo di coerenza nell’ambito dei provvedimenti riguardanti la cultura. Anche per queste ragioni sono giunto ad una deliberazione definitiva. Il presidente Berlusconi, che non finirò mai di ringraziare anche per avermi scelto quale membro del suo governo nel 2008, sa della mia decisione di lasciare il ministero e affronterà la questione non appena sarà possibile. (Sandro Bondi su Il Giornale)
E tutti via di pacche sulle spalle:
"Ma dai che sei bravo Sandrino, cosa vuoi che sia se non tieni gli impegni, tanto sei in buona compagnia, e che sarà mai poi se cadono quattro calcinacci vecchi a Pompei, facciamo una bella sanatoria e al posto della casa dei Gladiatori costruiamo un attico superattico delle concubine. Dai basta piangere nè, che tutto è bene quel che finisce bene!"
4 commenti:
Io non mi pongo problemi di sorta.
Dormirò tranquillo, stanotte.
:-)
E fuori uno.
C'è poco da ridere.
Questo testicolo provvisto di orecchi è il ministro del settore dove io lavoro e posso testimoniare con assoluta cognizione di causa che sotto il ministero di Bondi l'Italia ha avuto il colpo mortale a quello che è il suo patrimonio più grande ed importante: la cultura e lo spettacolo. Non che da un suo eventuale successore mi aspetti di meglio; me lo aspetto invece da quella parte di mondo della cultura che ha assistito imbelle all'opera distruttiva di questo governo nei confronti di questo settore che, a differenza di quanto afferma il boia Tremonti, dà da mangiare, eccome, a un sacco di gente e non necessariamente dei parassiti come i loro compagnucci.
Anche la lista dei danni causati direttamente da Bondi é tragica.
Daniele: fuori uno se va fuori!
Sassicaia: mi dispiace, anche se temo che ormai non ci sia settore che possa dirsi in salvo. Sulla dichiarazione mai smentita di Tremonti sulla cultura fece un bellissimo articolo Eco, uno o due mesi fa in cui spiegava come invece la cultura dia da mangiare a molti. Alberoni un paio di settimane fa ha spiegato, poi come sia assurdo pretendere che gli amministratori delle istituzioni culturali lavorino a titolo gratuito, a titolo di onorificenza. Perchè non si prova ad estendere questa ipotesi ad altri settori? Sarebbe immediata la levata di scudi. Penso che ci sia da piangere e che il paese abbia raggiunto il punto di non ritorno, in cui non basta più la volontà di persone che fanno con passione in proprio lavoro.
Adriano: spesso mi viene il dubbio che questi soggetti che dirigono la cosa pubblica siano convinti che se uno non sa fare e non fa, non può fare danno. Ma l'ignavia culturale è disastrosa per un paese che ha fatto della storia e della cultura il proprio valore aggiunto. Tutto cade a pezzi e si sbriciola, proprio come quelle case di Pompei che sono arrivate fino ai nostri giorni, compreso il senso comune e il buon senso
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